Curia vescovile

Il termine “curia”, nella Roma antica, indicava il luogo di riunione del senato (nella capitale come nelle province), o anche l’edificio del tribunale o dell’amministrazione della giustizia, e per estensione l’attività giudiziaria stessa. In senso ecclesiastico è detto curia episcopalis quel complesso di persone e uffici che collaborano con il vescovo nel governo della diocesi, prevalentemente in due settori: l’amministrazione spirituale e temporale e l’esercizio della giurisdizione contenziosa.
Fin dai primi secoli si hanno svariate notizie del ruolo consultivo, collaborativo e talvolta ausiliario assunto dal clero cittadino nei confronti del vescovo. Di una curia vescovile vera e propria – dotata cioè di una sua specifica individualità, continuità e articolazione funzionale – non si può però parlare prima del XII o XIII secolo. Soprattutto nel corso del Duecento, in coincidenza con i momenti di assenza o di impedimento del vescovo, si consolidò un ufficio di supplenza, capace di rimanere in carica anche quando la sede risultava vacante, con un profilo (sia dal punto di vista giuridico che economico) indipendente da quello del presule. Quando poi, nel Trecento e nel Quattrocento, la tendenza dei vescovi a non risiedere nella propria diocesi si accentuò, l’esistenza e l’ordinato funzionamento della curia divennero imprescindibili per la sopravvivenza del tessuto organizzativo diocesano; e anche quando il vescovo era presente, la “macchina” continuava a funzionare da sola.
All’interno della curia emergono alcune figure: il cancelliere, custode della memoria scritta (archivio); il vicario, al quale a partire dal XIII secolo fu affidata, in assenza o impedimento del vescovo, l’amministrazione spirituale della diocesi (con la collaborazione, per quanto riguarda le questioni che richiedevano la potestà d’ordine, nel vescovo ausiliare); l’ufficiale, che nel settore dell’amministrazione della giustizia (separata dalle altre attività) assumeva in sé alcune delle funzioni che prima erano state dell’arcidiacono della cattedrale; il promotore di giustizia, attivo per una migliore realizzazione della procedura d’ufficio. Di particolare rilievo i notai, tecnici della scrittura che garantivano la fides publica dei contratti; dopo un lungo periodo in cui le Chiese italiane si erano servite per le proprie necessità di “liberi professionisti”, dal Duecento in poi appare sempre più frequentemente la figura del notaio vescovile, legato stabilmente alla curia. Tale processo fu probabilmente favorito dalle disposizioni del IV Concilio Lateranense (1215), che ordinò di servirsi di un notaio per redigere gli atti processuali. La presenza di notai vescovili costituisce un segnale importante dell’esistenza di una curia propriamente detta, e insieme uno strumento particolarmente importante per il suo consolidamento.
Il Concilio di Trento provvederà poi ad articolare ulteriormente la curia vescovile, istituendo in particolare gli esaminatori e i giudici sinodali (per la gestione dell’assegnazione delle parrocchie e i procedimenti amministrativi di rimozione dei parroci). Ulteriori successive modifiche non ne hanno mutato natura e finalità, e tuttora «la curia diocesana consta degli organismi e delle persone che aiutano il Vescovo nel governo di tutta la diocesi, cioè nel dirigere l’attività pastorale, nel curare l’amministrazione della diocesi come pure nell’esercitare la potestà giudiziaria» (Codice di Diritto Canonico, can. 469).

Bibliografia
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Compilatori

  • Prima redazione: Emanuele Curzel - Data intervento: 31 dicembre 2007
  • Revisione: Annamaria Pozzan - Data intervento: 17 marzo 2019