Decanie e vicariati foranei, diocesi di Venezia

Il 21 febbraio del 1818, il patriarca Francesco Maria Milesi (1815-1819) decretava con atto ufficiale della sua segreteria che «seguendo le tracce delle tridentine sanzioni ed attenendoci alle saggie dichiarateci sovrane intenzioni […] pel regolare, esatto andamento degli affari ecclesiastici fosse attivato […] il consigliere e decanale sistema». Tali istituzioni, innovative per Venezia, rientravano nel quadro complessivo delle tante trasformazioni operate in diocesi durante la dominazione austriaca: dal piano organico per il clero e gli stabilimenti ecclesiastici (1817), alla traslazione della cattedra di San Pietro in San Marco (sanata dalla Santa Sede solo nel 1821 con la bolla Ecclesias quae), alla soppressione delle diocesi di Caorle e Torcello (1818). Ma se alcune di queste riforme, scaturite dai nuovi, imperanti, assetti politici, erano state pienamente condivise dalla Chiesa locale, non così l’istituzione – avvenuta come si è visto il 21 febbraio del 1818 – di due organismi destinati a coadiuvare il patriarca nel governo della diocesi, come il consiglio presbiterale (o concistorio) e i decanati (ovvero la suddivisione del territorio diocesano in distretti con a capo un parroco-decano nominato dal patriarca), che rendevano invece manifesta un’istanza tutta d’oltralpe, avezza al controllo capillare del territorio. L’ordine di introdurre i concistori e i decanati nelle diocesi del lombardo veneto era stato impartito ben due anni prima, il 27 luglio del 1816, con dispaccio n. 304440/3399. A cui seguiva il 26 novembre un ulteriore richiamo da parte del conte Alfonso Gabriele di Porcia, vice presidente dell’imperial regio Governo, indirizzato al patriarca Milesi, affinché desse avvio ad una «stabile organizzazione concistoriale e decanale»: sollecitazione a cui invano aveva tentato di opporsi il patriarca rispondendo il successivo 7 dicembre come a Venezia, a differenza di altre diocesi che avevano recepito da subito i dettami del Concilio di Trento, le decanie non fossero mai esistite. In realtà – come sottolinea correttamente il Cappelletti – a Venezia erano presenti in antico delle chiese matrici da cui dipendevano in alcune questioni le chiese filiali; come pure il patriarca Lorenzo Priuli aveva istituito l’ufficio dei «dodici visitatori delle chiese» nel suo primo sinodo diocesano (1592), in esecuzione dei decreti della visita apostolica in diocesi del 1581. Tuttavia se l’antica consuetudine delle chiese matrici differiva da quanto imposto dal governo austriaco il cui fine precipuo era una gestione serrata della disciplina, l’ufficio dei «dodici visitatori» era venuto meno da tempo. E dunque, cedendo alla volontà politica anche grazie all’intermediazione operata dall’abate Modesto Farina, imperial regio consigliere per gli affari ecclesiastici, nel febbraio del 1818, dopo aver nominato i membri del concistorio, il patriarca Milesi istituiva sei «decanie o pievanie» della diocesi veneziana, una per ogni sestiere cittadino, data l’esigua dimensione territoriale del Patriarcato veneziano. Si trattava delle decanie di San Marco (con le parrocchie di San Marco, Santa Maria del Giglio, Santo Stefano, San Luca, Santissimo Salvador), di Castello (con le parrocchie di San Pietro, San Martino, San Francesco della Vigna, San Giovanni Battista in Bragora, San Zaccaria, Santa Maria Formosa, Santa Maria Elisabetta del Lido), di Cannaregio (con le parrocchie di Santi Giovanni e Paolo, Santi Ermagora e Fortunato, San Geremia, San Felice, Santi Apostoli), di San Polo (con le parrocchie di Santa Maria gloriosa dei Frari, San Silvestro, San Pantalon, Santa Maria del Carmelo), di Santa Croce (con le parrocchie di San Cassiano, Tolentini, San Simeon Profeta, San Giacomo dell’Orio) ed infine di Dorsoduro (con le parrocchie di San Raffaele arcangelo, Santa Maria del Rosario, Santi Gervasio e Protasio, Santissimo Redentore, San Giovanni Battista delle Gambarare). Provvedeva inoltre, il successivo 18 maggio, a conferire ai decani le prerogative loro spettanti, quali: la facoltà di accordare l’assoluzione dai peccati; di benedire gli arredi sacri; di esaminare i «novelli sacerdoti» che dovevano acquisire la patente per la celebrazione della santa messa; di controllare i sacerdoti nello svolgimento delle loro funzioni; di esaminare i libri canonici; di accordare la licenza al lavoro nei giorni festivi; di far rispettare gli ordini patriarcali. Intanto, il primo maggio 1818, con la bolla De salute dominici gregis, papa Pio VII sopprimeva le diocesi di Torcello e Caorle e ne incorporava il territorio al Patriarcato di Venezia, rendendo di fatto necessaria l’istituzione di nuovi vicariati foranei. Spettò a Giovanni Ladislao Pyrker, succeduto nel 1820 al patriarca Milesi, provvedere all’istanza di ristrutturare i decanati istituendo in via provvisoria, il 23 luglio 1821, tre decanati urbani (San Pietro, San Marco e San Raffaele arcangelo) in cui venivano ripartite le trenta parrocchie cittadine sopravvissute alle concentrazioni napoleoniche e nominando, il primo ottobre del 1822, Pietro Gianelli, arciprete di Torcello, vicario foraneo della soppressa diocesi torcellana. Interveniva in via definitiva il 16 marzo 1825, con l’istituzione di cinque decanati urbani così distribuiti: San Marco, Castello, Cannaregio, Santa Croce – San Polo e Dorsoduro. A questi venivano aggiunti i vicariati foranei di Torcello, Murano e Caorle. Tuttavia, anche senza l’accadimento di eventi eclatanti, come l’accorpamento di due diocesi, la continua modificazione territoriale e delle intitolazioni dei vicariati sarà prassi comune per i decenni a venire. Se nel 1818 le denominazioni corrispondevano al sestiere di appartenenza in seguito assunsero il nome della parrocchia che in quel momento deteneva il parroco-decano: così, a titolo esemplificativo, quella che grossomodo corrispondeva al sestiere di Cannaregio divenne la decania di San Felice, poi di Santi Ermagora e Fortunato, poi di Santi Apostoli come facilmente si evince scorrendo l’«Almanacco ecclesiastico della R. Città e Archidiocesi di Venezia», bollettino ottocentesco a stampa annuale, che rendeva conto di tali trasformazioni. Nel corso del secolo XIX spettò a ciascun patriarca tenere o meno in considerazione tale organo di governo. In particolare il patriarca Pietro Aurelio Mutti, a pochi mesi dal suo ingresso in diocesi di Venezia, con la circolare n. 500 del 27 settembre 1852 sembrava voler dare un nuovo impulso chiedendo ai decani patriarcali e ai vicari foranei di presentare alla fine di ogni anno un «dettagliato ragguaglio sullo stato della rispettiva decania o forania». Nella circolare il patriarca Mutti precisava ed approfondiva le motivazioni che avevano portato alla istituzione delle decanie: «come suole praticarsi nelle altre diocesi, così anche in questa fu praticato dai nostri illustri predecessori di scegliere cioè dal ceto dei parochi alcuni individui i quali entrassero a parte delle pastorali loro sollecitudini ed invigilassero con essi e per essi alla custodia della ecclesiastica disciplina, alla osservanza delle leggi canoniche sinodali, alla regolare condotta del clero, al maggior bene spirituale del popolo. Quindi furono stabiliti nella città cinque decani patriarcali e tre vicari foranei al di fuori, i quali col presidio della dottrina, coll’accorgimento della prudenza, colla dolcezza delle maniere e colla luce del buon esempio conducessero i parrochi loro confratelli, i semplici sacerdoti e tutti gli altri, all’adempimento esatto dei rispettivi doveri e con apposita patente destinavano i soggetti che avessero i maggiori titoli a questo importantissimo ufficio». Si chiedeva loro inoltre ulteriori «disposizioni e avvertenze» raggruppate in sette punti: attenzione alla morale dei parroci nell’esercizio delle loro funzioni in particolare dell’ammaestramento del popolo; verifica sulla tenuta corretta delle mansionerie, dei legati e della contabilità in generale; controllo dello stato delle chiese, oratori, battisteri ed edifici in genere; controllo delle suppellettili e della buona tenuta dei registri canonici, civili e dei diritti di chiesa e del beneficio; sorveglianza sul conferimento del battesimo da parte delle ostetriche; controllo su eventuali scandali o abusi e sull’attuazione delle disposizioni emanate dalle visite pastorali. Le relazioni annuali, prescritte dalla circolare del 1852, iniziarono così ad essere redatte e trasmesse al patriarca, anche se con discontinuità e limitatamente ad alcuni decanati. Infatti, un problema effettivo circa la reale comprensione dell’attività svolta dalle decanie o dai vicariati nella diocesi veneziana è costituito dalla frammentarietà con cui la documentazione fu prodotta e conservata. Pochi registri di protocollo, alcune buste di corrispondenza, alcuni verbali relativi alla discussione dei casi di coscienza: questi i materiali rinvenuti presso le diverse parrocchie ove ebbero sede i parroci-decani. Materiale talvolta raccolto correttamente in modo autonomo, altre volte mescolato alla corrispondenza parrocchiale, in un insieme oramai inscindibile. Facile riscontrare lacune, anche di decenni, che denunciano tutta la difficoltà per questi organismi di operare in modo strutturato. In una lettera del 2 settembre 1852 scritta al patriarca Mutti, un sacerdote affermava di attendere il nuovo decano per poter consegnare il «libro lettere e il libro de’ casi, null’altro avendo in mia mano spettante all’officio decanale» (ASPV, Curia patriarcale di Venezia. Sezione moderna, Patriarchi, Patriarca Pietro Aurelio Mutti, b. 1, fasc. «Circolari dal 1852 al 1853»). Segnale certamente anche di poca attenzione da parte dei patriarchi dell’Ottocento veneziano, che privilegeranno sempre il governo «personale ed accentrato» della diocesi, senza mediazioni, come ben evidenzia il dibattito scaturito in occasione del sinodo di Giuseppe Luigi Trevisanato (1865). I pareri tra i parroci interpellati in quella circostanza a proposito del ruolo svolto dalle decanie (o foranie per le zone extraurbane) erano assolutamente discordi. Tra chi rimaneva ancorato al servizio di mero esecutore delle volontà patriarcali e chi auspicava un governo collettivo della diocesi, prevalse la riconferma delle facoltà già conferite da Milesi, sottolineando casomai l’importanza di sovrintendere alle riunioni delle Congregazioni dei casi di coscienza, finalizzate alla formazione dottrinale dei sacerdoti e dei confessori (Bertoli 1973, pp. 54-58). Anche i successivi sinodi, da quello di Giuseppe Sarto (1898) a quello di Pietro La Fontaine (1926), non mutarono nella sostanza l’ufficio del vicario foraneo. Anzi nel sinodo del futuro papa Pio X non vi fu neppure traccia di discussione in merito alle decanie, a testimonianza «dello stile autoritario del Sarto» e dello scarso interesse per la dimensione collegiale del governo della diocesi (Bertoli 1986, p. 108). Nei primi decenni del Novecento, l’ampliamento del territorio del Patriarcato a seguito della bolla Ob nova praesentis temporis adiucta di papa Pio XI del 14 febbraio 1927 fece sì che ben undici parrocchie appartenenti alla diocesi di Treviso fossero traslate alla sede patriarcale di Venezia. Le motivazioni, ampiamente note, riguardavano il problema legato al territorio assai esiguo del Patriarcato: cattedra, quella veneziana, prestigiosa ma limitata, a differenza delle altre diocesi del Veneto, ai confini della città lagunare e delle sue isole. Le parrocchie che venivano accorpate erano quelle di Mestre, Carpenedo, Campalto, Favaro Veneto, Dese, Chirignago, Zelarino, Trivignano di Mestre, Mira, Borbiago, Oriago. Ma solo con il decreto patriarcale De vicariatibus foraneis dell’11 aprile 1929, prontamente divulgato nel Bollettino diocesano del Patriarcato di Venezia, XIV/4 (aprile 1929), furono rinnovati e ridefiniti gli ambiti territoriali dei vicariati a seguito dell’ampliamento del 1927. Vennero così istituiti i cinque vicariati foranei di Carole, Torcello, San Lorenzo di Mestre, Murano e Gambarare. In particolare quello di Mestre comprendeva dieci parrocchie: San Lorenzo di Mestre, San Martino di Campalto, Santi Gervasio e Protasio di Carpenedo, San Giorgio di Chirignago, La Natività della Beata vergine Maria di Dese, Sant’Andrea apostolo di Favaro Veneto, San Magno di Trepalade, San Michele al Quarto, San Pietro di Trivignano, San Vigilio di Zelarino, con le chiese curaziali loro soggette. Le rimanenti parrocchie acquisite nel 1927 confluirono nel vicariato di Gambarare (Santa Maria Maddalena di Oriago, Santa Maria Assunta di Borbiago, San Nicolò di Mira si aggiungevano a quelle già esistenti di San Giovanni Battista di Gambarare e di Sant’Ilario di Malcontenta). Al vicariato di Caorle erano aggregate le parrocchie di Santo Stefano di Caorle, di Ca’ Cottoni, di Santa Maria Concetta di Grisolera e di San Giovanni Battista di Jesolo; a quello di Torcello le parrocchie di Santa Maria Assunta di Torcello, Santi Pietro apostolo e Caterina vergine e martire di Mazzorbo, San Martino di Burano, Santissima Trinità di Preporti e Santa Maria Elisabetta di Cavallino ed infine a quello di Murano le parrocchie di Santi Maria e Donato di Murano, San Pietro martire e Sant’Erasmo. Nel secondo dopoguerra, lo sviluppo industriale dell’entroterra veneto (Mestre e Marghera) nonché l’incremento turistico del Lido e del Litorale (Jesolo e Caorle) e il conseguente aumento demografico portarono alla fondazione di un numero consistente di nuove parrocchie e all’inevitabile ridefinizione dei vicariati. Nel frattempo era maturato nella Chiesa, in particolare dopo il Concilio Vaticano II, un diverso modo di intendere l’ufficio del vicario foraneo, maggiormente vocato all’impegno pastorale e spirituale. Se il codice di diritto canonico del 1917 prima e il nuovo codice promulgato nel 1983 da papa Giovanni Paolo II poi normarono in via definitiva la giurisdizione in materia, per la diocesi di Venezia una «ristrutturazione dei vicariati» in linea con il Concilio Vaticano II venne approvata dal patriarca Albino Luciani il primo ottobre del 1972. La rivista diocesana di quell’anno riportava la revisione dei confini dei vicariati in base alle nuove istanze «sociali e pastorali». La suddivisione della diocesi in sedici distretti intendeva privilegiare innanzitutto la «comunione umana, spirituale, culturale e pastorale fra i sacerdoti». Infine, sempre in ambito diocesano, un regolamento per il vicariato foraneo è stato approvato dal patriarca Marco Cè il 17 febbraio 1997. Si elencano le norme relative alle funzioni, alla nomina, ai compiti e all’attività del Consiglio pastorale vicariale (cfr. Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia, LXXXII/3 (marzo 1997), pp. 269-271); regolamento successivamente confermato, salvo alcune precisazioni, dal patriarca Angelo Scola il 3 dicembre 2003 (cfr. Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia, LXXXVIII/2 (luglio-dicembre 2003), pp. 240-243). Tra le indicazioni aggiuntive vi è quella relativa alla tenuta degli archivi: «il vicario foraneo avrà cura di conservare nell’archivio la documentazione originale delle convocazioni, dei verbali, delle relazioni dei parroci precedenti la visita, della trasmissione delle sue relazioni all’Ordinario e di altri documenti ritenuti importanti». Attualmente le 128 parrocchie del Patriarcato di Venezia sono suddivise in 13 vicariati: San Marco-Castello, Cannaregio-Estuario, San Polo – Santa Croce – Dorsoduro, Lido, Mestre, Carpenedo, Favaro-Altino, Castellana, Marghera, Gambarare, Jesolo, Eraclea, Caorle.

Bibliografia
G. CAPPELLETTI, Storia della Chiesa di Venezia dalla sua fondazione sino ai nostri giorni, vol. II, Venezia 1851, pp. 644-650.
Bollettino diocesano del Patriarcato di Venezia, XIV/4 (aprile 1929), pp. 56-57.
S. TRAMONTIN, Un esperimento della Chiesa veneziana del primo Ottocento: il consiglio patriarcale (1817-1819), in «Studia Patavina», XV (1968), n. 3, pp. 442-448.
B. BERTOLI, Modificazioni strutturali della Chiesa veneziana dalla visita Flangini alla visita Pyrker in La visita pastorale di Giovanni Ladislao Pyrker nella diocesi di Venezia (1821), a cura di B. BERTOLI e S. TRAMONTIN, Roma 1971, pp. VII-XLI.
Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia, LVII/11 (novembre 1972), pp. 688-692.
B. BERTOLI, Strutture pastorali della Chiesa veneziana al sinodo Trevisanato (1865), in Chiesa e religiosità in Italia dopo l’unità (1861-1878), Atti del IV convegno di Storia della Chiesa, Milano 1973, pp. 43-92.
B. BERTOLI, Chiesa Società Stato nel Veneto della Restaurazione, Vicenza 1985, pp. 39-41.
B. BERTOLI, Il sinodo del patriarca Sarto (1898) e le riforme di Pio X, in Le radici venete di san Pio X, Atti del Convegno di Castelfranco Veneto, 16-17 maggio 1986, a cura di S. TRAMONTIN, Brescia 1987, pp. 105-124.
S. TRAMONTIN, Caorle Torcello: da diocesi a parrocchie, in La Chiesa di Venezia nel Settecento, VI, a cura di B. BERTOLI, Venezia 1993, pp. 187-220.
B. BERTOLI, Le parrocchie veneziane dal Medioevo al secolo XX. Un profilo storico-istituzionale, in Archivi e Chiesa locale. Studi e contributi, a cura di F. CAVAZZANA ROMANELLI e I. RUOL, Venezia 1993, p. 136.
A. NIERO, L’ampliamento del Patriarcato (1919-1927), in La Chiesa di Venezia nel primo Novecento, a cura di S. TRAMONTIN, Venezia 1995, pp. 141-181.
Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia, LXXXII/3 (marzo 1997), pp. 269-271.
Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia, LXXXVIII/2 (luglio-dicembre 2003), pp. 240-243.

Fonti
Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale di Venezia. Sezione moderna, Patriarchi, Patriarca Francesco Maria Milesi, reg. 4, doc. 1816, dic. 7.
Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale di Venezia. Sezione moderna, Patriarchi, Patriarca Francesco Maria Milesi, vol. 9, doc. 1816, nov. 26.
Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale di Venezia. Sezione moderna, Patriarchi, Patriarca Francesco Maria Milesi, b. 15, doc. 1818, feb. 21, prot. n. 561/79 della segreteria patriarcale.
Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale di Venezia. Sezione moderna, Patriarchi, Patriarca Pietro Aurelio Mutti, b. 1, fasc. «Circolari dal 1852 al 1853».
Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale di Venezia. Sezione moderna, Actorum generalium Curiae patriarchalis, vol. 14, doc. 1818, mag. 18, prot. n. 698/217, «Lettera di facoltà attribuite ai decani».
Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale di Venezia. Sezione moderna, Actorum generalium Curiae patriarchalis, vol. 17, docc.: 1821, lug. 23; 1822, ott. 1, 1825, mar. 16.
Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale di Venezia. Sezione moderna, Patriarcato e Governo, b. 2 (1813-1825).
Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale di Venezia. Sezione moderna, Sinodi diocesani, bb. 1-3 (1865-1926).
Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale di Venezia. Archivio ‘segreto’, Visite foranee, bb. 5-11 (1852-1972).

Soggetti produttori

Compilatori

  • Prima redazione: Manuela Barausse - Data intervento: 31 dicembre 2012
  • Revisione: Annamaria Pozzan - Data intervento: 11 marzo 2019